Mi divertono sempre un sacco le dinamiche che si creano in occasione di un torto arbitrale. Ricordo molto bene un Giampiero Gasperini anni fa, arrivato (o tornato, ora non ricordo sinceramente) sulla panchina del Genoa, che in occasione di un chiaro favore arbitrale di cui aveva beneficiato la sua squadra, con la faccia serena di chi ha chiaro il famoso teorema dei ‘torti che si compensano’ attaccò un discorso assolutamente ragionevole su come non si debba parlare degli arbitri, che sono una componente del gioco, che sono umani e sbagliano anche loro e via ovvietà discorrendo. Passarono forse due settimane e, al primo errore arbitrale a sfavore del Genoa, la conferenza stampa di Gasperini fu sostanzialmente un attacco a testa bassa all’arbitro che aveva condizionato la partita. Game, set and match.
Sta tutta qui l’ipocrisia del modo italico di intendere il ruolo dell’arbitro. Che è poi in fondo lo stesso che abbiamo nell’intendere il ruolo di qualsiasi organo decisore che abbia una qualche influenza sulle nostre vite: ci indigniamo e strepitiamo quando veniamo danneggiati, alziamo le spalle e ammicchiamo in segno di sfregio quando ne beneficiamo, assumendo di volta in volta con agilità olimpica uno dei due atteggiamenti in base al contesto senza curarci della contraddizione. In questo siamo incorreggibili.
E ovviamente nemmeno noi a Novara facciamo eccezione. Ricordo che l’anno di Toscano, con una rosa che costava il doppio di qualsiasi altra del girone, siamo stati in grado di produrre piagnistei per mesi riguardo i torti arbitrali quando l’unico motivo per cui alla fine avremmo potuto rischiare di non salire stava nell’inaugurazione della splendida arte della compensazione fiscale di cui abbiamo visto la più alta espressione la scorsa estate. Però non c’è nulla da fare, a parlare con qualcuno sembra che qui a Novara si sia in credito di ere geologiche di furti, ma, sarà che io non ho testimonianze dirette di prima della fine degli anni ’90 per motivi anagrafici, davvero faccio fatica a ricordare una serie di sviste coordinate e continuate ai nostri danni. E anche se ce ne fossero risalenti a prima, mi piacerebbe capire chi nel ‘palazzo’ sia così longevo e pervicace da accanirsi per decenni contro una squadra che rappresenta solo un centinaio di migliaia di abitanti e qualche migliaio di tifosi. È come se si dovessero a tutti i costi collegare dei puntini sparsi a caso per creare un disegno che, alla prima occasione in cui ritorna qualcosa indietro in beneficio, ci permetta di dire ‘beh, questo è il minimo con tutto quello che ci è capitato prima’. Una specie di lotteria, di raccolta punti del lamento che tanto i bollini te li danno gratis insieme alla spesa, e poi quando ne hai accumulati un po’ puoi ritirare il premio.
Ed è ovvio che questa cosa non riguarda soltanto noi, perché se intervistassimo qualunque tifoseria media, quasi certamente troveremmo una percentuale di gente che pensa di essere vittima di un complotto più o meno dalla notte dei tempi, che ovviamente non sarà mai ripagato nemmeno da un campionato intero in cui ti danno due rigori a partita e tre gol in fuorigioco.
Per questi motivi oggi mi fanno ugualmente sorridere sia l’insistenza con cui da Varese stanno chiedendo una specie di ammissione di colpa (e immagino a parti invertite Lord Ezio Rossi in conferenza stampa contrito e addolorato a scusarsi con gli avversari), sia, mi si permetta, anche l’atteggiamento inutilmente sprezzante e perculante verso gli avversari che molti di noi stanno dimostrando. Sia chiaro, io sono il primo ad aver goduto come un maiale e se potessi una vittoria così la vorrei ad ogni derby, ma quando fai il bullo in una situazione come questa è un po’ difficile poi al primo torto ripassare dalla parte delle vittime. Io, ma è una mia opinione personale e poi ognuno fa il cazzo che gli pare, sono dell’idea che la cosa migliore sia sempre quella di stare in silenzio ed aspettare il momento di gustarsi la vendetta. E vi dirò, 8 anni dopo, anche senza nel frattempo alternare piagnistei a ammiccamenti, io a sto giro me la sono goduta proprio.
Jacopo
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