Pensieri e parole
Torneremo mai in uno stadio?
Published
3 anni faon
By
ilVannu
Mentre più o meno lentamente (ma comunque più veloci che in Italia) in ogni Stato europeo si sta affrontando il tema delle riaperture, diverso il discorso sulla ripartenza del calcio. C’è chi, come la Francia e il Belgio, hanno già deciso da tempo la chiusura definitiva della stagione, o la Germania decisa invece a ripartire al più presto (benché, se poi si va a fondo della questione, si capisce che ci sono una serie di condizioni e di se e ma grossi come una casa che pongono seri interrogativi sulla riapertura), e chi come l’Italia che, di fatto, pare non avere la minima idea di cosa fare e come farlo. In Italia è sempre tutto più difficile perché non si capisce mai chi debba prendere la decisione finale, e soprattutto, se questa possa poi essere accettata senza che qualcuno la impugni fino a Bruxelles, bloccando comunque tutto. Dall’ultimo mio articolo non ho fondamentalmente cambiato la mia posizione, ovvero credo ancora che, quantomeno la massima serie, potrebbe tranquillamente pianificare una riapertura giocando ovviamente a porte chiuse. Avevo ipotizzato seconda metà di maggio, possiamo oggi cambiare a prima metà di giugno, ma questo penso. E’ ora di finirla di dare retta alle idiozie da social, a quelli che “è assurdo che il solo problema in Italia sia riaprire il calcio” dimenticandosi che questo carrozzone fattura qualcosa come 5 miliardi d’euro all’anno. E che questo comporti un numero elevatissimo di lavoratori “dietro alle quinte”, pagati esattamente come qualsiasi altro lavoratore peones come ognuno di noi, e che, come noi, è fortemente a rischio. Quello che è probabilmente cambiato dall’ultimo mio articolo credo sia proprio l’approccio della politica sulla questione, in conseguenza del fatto che tutti sono d’accordo a dichiarare la fine dei giochi a patto che nessuno ci perda. Ovvero che vengano promosse nelle categorie superiori tutte quelle che ritengono di averne diritto, che nessuno retroceda e, soprattutto, che vengano assegnati contemporaneamente gli scudetti a Lazio, Juve e forse anche all’Inter, oltre alle altre eventuali che matematicamente potrebbero ancora vincerlo. In parole povere un accordo non lo si troverà mai perché è inevitabile scontentare qualcuno e quindi infilarsi in una serie di contenziosi legali paurosi.
E’ altresì evidente che da noi sia iniziato il solito teatrino tipico italiota, in cui ogni attore in gioco ha capito che quello che prenderà la decisione di chiudere sarà anche quello che dovrà poi difendersi davanti ad un giudice, e quindi siamo nella fase in cui il Ministro spinge subliminalmente per chiudere tutto senza però mai dirlo apertamente, e il governo del calcio invece un giorno da ragione al Ministro di turno e l’altro parla di aperture. Credo che da questa situazione non se ne uscirà molto facilmente se non in due modi: il primo è quello che nessuno vorrebbe mai affrontare, ovvero una ricrescita esponenziale dei contagi tale per cui il dibattito diventerebbe nullo e risulterebbe inevitabile la chiusura. E il secondo, un decreto firmato dal Presidente della Repubblica, dopo approvazione del Parlamento (posto sia in grado di approvare una cosa del genere e in tempi rapidi), che metta fine alla questione, con buona pace degli scontenti. Intendiamoci, penso che una cosa del genere sia una porcata, perché esiste proprio un Coni e una Lega Calcio che sono preposte a decidere senza interpellare sempre il governo centrale, ma piuttosto di assistere ad un periodo di continue guerre legali che minerebbero anche l’inizio della prossima stagione (la vera rinascita per tutti), il Decretone è probabilmente la soluzione migliore che l’Italia si merita oggi.
Ma il tema riapertura del calcio non è quello che più mi sta a cuore ora. Ho infatti seri dubbi sul come e quando si potrà parlare di riaprire gli stadi per i tifosi (lo dico subito: ovviamente non prima della prossima stagione). Perché se è vero che adesso molti di noi sono ancora scossi dalla pandemia e che magari hanno problemi personali ben più gravi, è altresì vero che prima o poi tutti noi praticanti “gente da stadio” dovremo fare i conti con quella che oggi è una vera e propria triste mancanza, ma che domani potrebbe diventare una terribile privazione di quel momento di svago che ci rende tutti un po’ più vivi. Due articoli a caso pubblicati in questi giorni:
qui dobbiamo prendere atto che il dibattito attuale sta vertendo proprio sull’ipotesi, a lungo termine, di una totale chiusura degli stadi o, comunque, di un grossissimo ridimensionamento di un certo modo di vivere la partita. Che poi è proprio quello che porta tanti di noi ad entrarci in uno stadio, e non la partita in sé, che spesso è marginale. Se è vero che, a prescindere da come e chi farà terminare questa stagione, il discorso è già chiuso per la maggioranza dei tifosi, non sono così convinto che gli stessi abbiano ben chiaro il fatto che sia lontano il giorno in cui, con una sciarpa al collo, potranno tornare a tifare live. E questo divieto consentitemi di ritenerlo parecchio discutibile e dibattibile in una situazione generale di crescita del virus prossima allo zero, come auspicabilmente sarà dopo l’estate. Senza scadere nel tragico, mi auguro che i politici di qualsiasi razza e matrice siano ben consci del rischio sociale cui l’Europa si esporrebbe togliendo quella valvola di sfogo che l’ “andare alla partita” rappresenta per milioni di persone. E che non si risolve portando le masse sul divano a vedere la partita. Che nessuno provi mai ad usare la nobile causa della salute per dare il colpo di grazia ai tifosi ed accelerare quel processo di portare tutti verso le pay tv, o di renderli dei cartonati da operetta teatrale che non possono nemmeno starnutire per non deconcentrare gli attori. Su questo tema ho davvero un grosso timore che qualcuno possa cavalcare questa paura collettiva per i propri interessi, o che, peggio, faccia comodo a molti avere un popolo impaurito che sta a casa, e che pretende pure che gli altri lo facciano.
Sono dell’idea che al primo punto ci debba essere la sicurezza delle persone e dei luoghi. E spero che nessuno legga questa mia riflessione come uno stupido capriccio o una sottovalutazione del problema, ma mi pare di essere stato chiaro sul fatto che stia parlando per settembre e con una situazione di contagi prossima allo zero. Non sono così convinto che le Società di calcio peronino molto presto la nostra voglia di stadio, mi auguro però che nessuno di noi accetti di farsi prendere per il culo.
Claudio Vannucci
Fondatore dei Blog Novara Siamo Noi e Rettilineo Tribuna, Vice Presidente del Coordinamento Cuore Azzurro e fraterno amico di chiunque al mondo consideri lo stadio la sua seconda casa. O addirittura la prima. Editorialista estremista, gattaro.

Scelti per te

Un fortissimo abbraccio a Roberto Cevoli con auguri di pronta guarigione. Nella storia del Novara Roberto non entrerà per i risultati ma sulla sua onestà e dedizione non si può eccepire nulla. Pacato e mai sopra le righe si è trovato a dover gestire una situazione difficile suo malgrado e come spesso accade nel calcio si sono riversate su di lui tutte le colpe. Probabilmente ha commesso qualche errore ma non era certo il colpevole assoluto. Persona piacevole con cui interloquire e discutere senza dover alzare mai i toni.
Un grandissimo in bocca al lupo dai tifosi azzurri per poter tornare ad una vita serena in cui tu possa sederti su una panchina probabilmente da avversario ma con tutto il nostro rispetto.
Siviersson

Pavanati e De Salvo sono falliti. Non riesco ancora a prenderla come una buona notizia, anzi rabbia e indignazione sono ancora predominanti per una vicenda truffaldina che ci ha privato della storia del nostro Novara Calcio 1908.
Ora per lo meno la strada è tracciata: Pavanati e De Salvo sono falliti, dovranno probabilmente rispondere di bancarotta fraudolenta e sinceramente spero che la giustizia una volta tanto, vada fino in fondo facendogli pagare fino all’ultimo centesimo.
L’iter fallimentare prevede che tutti i beni materiali della società (Coppe, Trofei, Maglie Storiche e tutti i cimeli del Novara Calcio 1908) dovranno essere messi all’asta per risarcire i creditori.
E questo è il primo punto: bisogna evitare che un privato o un collezionista se ne impossessi. Le associazioni ed i club vicini al Novara Calcio, penso al Coordinamento e ai Fedelissimi ma anche al Panathlon Club Novara attuale con Presidente Carlo Accornero oppure lo stesso Comune di Novara devono recuperare tutto questo patrimonio e restituirlo alla città. Passeranno parecchi mesi prima dell’asta fallimentare ma sarebbe utile cominciare a pensarci ed organizzarci.
Il secondo punto è la restituzione del titolo sportivo alla società che in questo momento rappresenta il calcio a Novara. Può sembrare un banale capriccio sentimentale ma in realtà è l’unico modo per restituire la Storia del Novara Calcio ai suoi tifosi. Insisto e ripeto l’esempio più banale: festeggiare il record di gol realizzati da Gonzalez è un’ipocrisia che tale rimarrà finché il titolo sportivo del Novara Calcio 1908 non verrà assegnato al FC Novara.
L’art. 52, 2° comma, delle N.O.I.F. è chiaro “il titolo sportivo di una società cui venga revocata l’affiliazione, può essere attribuito ad altra società con delibera del presidente della F.I.G.C.” ma perché questo avvenga qualcuno con le carte in regola deve richiederlo e l’unico ad averle è il FC Novara.
Non ho mai sentito Ferranti esporsi su questo argomento forse perché attendeva la sentenza di fallimento definitiva. Adesso è arrivato il momento di far sapere le sue intenzioni. Questa sarà la sua partita più importante, l’unica veramente da vincere e così finalmente capiremo se sta diventando un “nuares” o viceversa se al di la di tante parole il FC Novara è soltanto un bel passatempo.
Vinci per noi Massimo Ferranti!

La parola “amore” può essere riferita talmente a tante cose e situazioni, che è impossibile definirne in modo compiuto un significato generale, ed è possibile spiegarla solo osservandone i vari aspetti che la caratterizzano nelle situazioni specifiche a cui la si può associare.
E queste situazioni non sempre sono determinate dai classici rapporti umani nei quali si stabiliscono relazioni che convenzionalmente definiamo amorose. A volte sono passioni di diverso genere, verso cose, attivitá spesso di lavoro, insomma ogni cosa che fa riferimento a tutto lo scibile possibile e immaginabile.
Eppure in molti casi si determina un rapporto amoroso che risulta più intenso e duraturo di quello che si può stabilire in una relazione di coppia.
Esiste, per esempio, un amore che spesso nasce nel periodo in cui si accendono quei rapporti che dureranno tutta la vita, ovvero l’infanzia, dove sará pressocché impossibile successivamente abbandonarlo e che ti seguirá fedelmente per tutta la vita: l’amore per il calcio.
Questo sentimento nasce, appunto, solitamente da piccoli, quando è più facile dare fuoco alle fantasie create dalla purezza d’ animo che accompagna, mano nella mano, i sogni che più avanti si trasformeranno in speranze: scatta la scintilla e si viene assaliti da una irresistibile voglia di emulare le gesta e le imprese dei giocatori della tua squadra del cuore e di provare a diventare come loro; ed è così, proprio con queste motivazioni e queste aspettative che si inizia a giocare a calcio, magari in una squadretta di periferia, non prima di aver calcato ogni tipo di terreno improvvisato.
Ma inevitabilmente quando si cresce, questa sensazione diventa ancor più forte, fino ad assumere i tratti della dipendenza, come una droga, davanti alla quale assume i tratti di un’impresa titanica dovervi rinunciare.
Ma se risulta sacrosanto fuggire dalle droghe che creano dipendenza e provocano danni inimmaginabili, dalla dipendenza dal calcio, sarebbe buona cosa non fuggire, anzi, favorire l’introduzione di un ragazzo a questa disciplina di carattere sportivo significherebbe offrire a lui una importante opportunitá di crescita.
Più importante peró sarebbe che i genitori non pretendessero di avere dopo pochi mesi, un piccolo futuro campione in casa, somigliando a quei tifosi che si convincono di avere nella rosa della propria squadra campioni da cui pretendere sempre prestazioni di alto livello.
Da questa esperienza si possono imparare tante cose come l’importanza del gioco di squadra e la imprescindibilità del reciproco sostegno nonché aiuto, e che da questa universale disciplina, a patto che si rispettino i criteri fondamentali di rispetto e lealtà nei confronti dell’avversario, si possono provare tutte quelle gioie che tutti conosciamo avendole almeno una volta provate, come vincere un torneo o una coppa, magari segnare un gol decisivo e subito trovarsi a celebrare, attraverso un abbraccio collettivo, uno di quei momenti che per sempre resteranno impressi.
Quanto sopra rappresenta il top delle emozioni, ma esistono altresi anche quelle piccole soddisfazioni quotidiane come i miglioramenti e progressi tangibili che in allenamento si possono percepire come conquiste di cui essere orgogliosi che segnalano inequivocabilmente la qualità del lavoro svolto con passione.
Bisogna però mantenere un certo equilibrio e non temere di esibire un buon livello di onestà intellettuale nel parlare di queste cose, quindi si deve sottolineare che, come dice il proverbio, non sono tutte rose e fiori, e chiarire subito che dal calcio le emozioni che si possono provare non sono solo quelle positive, anzi sono statisticamente più frequenti quelle negative, basti pensare alla recente e bruciante eliminazione dai mondiali della nostra Nazionale come esempio macroscopico.
Comunque, nonostante questi alti e bassi, il calcio entra nella vita e nell’essere di chi lo pratica, così profondamente al punto che risulta essere poi molto difficile, se non addirittura quasi impossibile, sostituire con altra materia sportiva, o dimenticare, forse anche da accantonare temporaneamente.
Non credo di sbagliare nell’affermare che per molti il calcio viene considerato più che uno sport, più che uno sfogo psicofisico, addirittura come una seconda vita.
Mi è capitato di dover difendere la mia personalissima posizione dall’attacco di chi giudica sciocco e infantile innamorarsi di uno sport il cui scopo sia quello di correre appresso una palla, e come sia possibile spendere così tanti soldi e tempo per seguire allo stadio la propria squadra, addirittura accompagnandola in trasferta.
È propabile che sia superfluo tentare una risposta, quasi certo che qualunque sia la controteoria esposta, sarà pressocché impossibile fare breccia nel qualunquismo dal quale nascono queste affermazioni.
Mai potrà capire e fare propria la gioia che si prova quando la tua squadra vince, o più ancora quando ciò avviene grazie a un gol spettacolare o anche attraverso il classico gollonzo, chi ti formula queste accuse lui si, probabilmente, è uno di quelli che è nato e vive in perenne fuorigioco!!
Per non parlare poi dell’adrenalina e della tensione tributate all’attesa di una partita importante della tua squadra, anche se tutte le partite sono importanti!
Penso che gli amanti del calcio dentro di sè, posseggano e custodiscano qualcosa di perverso o di sadico e magari di autolesionistico, in quanto il meno che ti possa capitare è una sorta di malessere fisico e comportamentale, senza voler citare quella stranissima e spiacevole sensazione intestinale di budella contorte prima di ogni appuntamento con i tuoi sacri colori.
In definitiva il calcio è si solo correre dietro a una palla, e per questo è un amore ben strano; ma in fianco a quella palla molto spesso corre anche la vita.
E se a quella palla tu riuscissi mai a dare il calcio giusto, quello che fa la differenza rispetto a quanti calci ne prendi in culo sovente dalla vita, vedrai quella palla infilarsi nella porta per accompagnarti a braccetto con lei alla vittoria.
Il Novara rappresenta tutto questo e tanto altro.
Forsa Nuara tüta la vita
Nonnopipo
Cerca nel blog
NSN on Facebook

Telegram
Lo sprint finale

L’equilibrio sopra la follia

Presidente Ferranti, intervista ma non troppo.

la VIDEO-MOVIOLA di Pro Patria-Novara

Lascia un commento