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Pensieri e parole

” La caga”

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Di solito, su questo blog, amo scrivere cose leggere, spesso inventate, articoli che, al netto di come stiano andando le cose, possano riuscire nell’intento di strappare un sorriso: oggi no, oggi non ci riesco, oggi mi sento come l’esatto riflesso della partita di ieri, ovvero di merda.

Verso la fine degli anni ’60, un gruppo rock angloitaliano, i cui componenti venivano definiti dagli anziani di allora, “capelloni”, lanciò sul mercato discografico una canzone che ebbe un buon successo.

Il titolo? “Bisogna saper perdere”.

Il testo descriveva il pianto di un ragazzo disperato per essere stato lasciato dalla morosa per un altro, che però, guarda caso, era proprio il di lui amico, sulla cui spalla il povero stava cercando conforto.

“Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere, ed allora cosa vuoi? Quante volte lo sai si piange d’amore, ma per tutti c’è sempre un giorno di sole”

Se proprio si volesse poi cercare il pelo nell’uovo, verrebbe di sponte affermare che sarebbe il caso di ribadire che noi le vittorie ce le siamo scordate da un pezzo, altroché “non sempre si può vincere”; qui ormai la vittoria non si riuscirebbe a conquistarla nemmeno se si giocasse contro la squadretta dell’oratorio, e il giorno di sole siamo abituati a vederlo come al circolo polare artico, ogni sei mesi circa.

E mi chiedo se questi giocatori, capaci di piangere lacrime a domicilio, sono a conoscenza che noi si piange veramente per amore, si piange per un sogno la cui dignità, unitamente al sacrosanto diritto di esistere, sta svanendo come neve al sole, esattamente come la favola che ha incatenato “la bella principessa Novara” al giovine e valoroso “Novarello”. Svanirà anche lui, probabilmente, assieme alla squadra che sa di Primavera, la squadra che profuma di freschezza, quella che dovrebbe consentire di guardare al futuro del “reame” con lungimiranza attraverso la lente di ingrandimento delle plusvalenze, quella squadra che lei si, sa vincere!!

Finirà tutto, seguendo la linea filosofica che nulla è per sempe, niente dura in eterno, tranne la nostra fede.    

E va da sè che quando le cose vanno male e la consapevolezza di essere nella merda prende il sopravvento, l’orgoglio e la volontà, in collaborazione con l’istinto di sopravvivenza, inducono a reazioni scomposte, a volte anche cattive. Vanno capite.

 Novara città tranquilla, Novara città dotata di pazienza e di buon senso, Novara una scrollata di spalle e via, Novara abituata a raspare il fondo del barile facendo leva su quei sentimenti che sono una certezza consolidata e offrono garanzie nelle emergenze, Novara civile come i suoi tifosi, pochi ma buoni nel proporsi e nel reclamare i loro diritti, Novara che non scaverà mai le buche per piantarci le croci in mezzo al campo come fecero ad Ascoli, Novara e i suoi tifosi che però esigono rispetto e dignità, quella di cui quest’anno si sono perse le tracce, Novara che è diventata terra di conquista, dove a turno chiunque sa di tornare a casa con le mani piene dopo aver saccheggiato quello che resta di una grande illusione. 

Diversi e molteplici sono gli slogan che la storia ci ha confezionato affidandoli alla filmografia, alla letteratura, fino ad arrivare a quel serbatoio naturale che è la vita di tutti i giorni, ai quali ricorriamo quando, con i pugni serrati e picchiati con violenza sul tavolo, troviamo magicamente la determinazione che ci mancava.

E se è più facile trovare le motivazioni quando la rabbia ti spinge verso il traguardo di un successo importante, più difficoltoso appare reagire quando il minimo risultato utile riguarda la salvezza.

Faccio un esempio: se c’è pari determinazione nel partecipare a un play off e a un play out, l’elemento che fa la differenza è la paura, che artisticamente mi piace definire “la caga”.

Andammo a Pescara sotto di due gol, per quel play off senza speranza, ci andammo allegri a prescindere, fosse andata brutta saremmo rimasti in B.

Ma un play out no, ad un play out non puoi andarci se non con le mutande piene di merda, il cui peso risulta considerevole sin da quando acquisti il il biglietto per la trasferta, come avvenne, in un parallelismo curioso, qualche anno prima a Varese, quando un risultato già compromesso all’andata, ci condannò, l’anno successivo, alla partecipazione al campionato di Lega Pro, condizionato  poi dal mancato rispetto da parte del Capo, delle regole IRPEF. 

Per i più previdenti, nonché dotati di un’emotività trascendente, che avvertono la necessità di portarsi avanti, la caga inizia nel momento in cui si guarda la classifica che per il momento non ti condanna ancora; la si osserva però con gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite, mentre la bocca e le mani assumono i tratti caratteristici dell’urlo di Munch. 

Intanto speri che la posizione della tua squadra nella lista, per qualsivoglia motivo che non ti permetteresti mai e poi mai di approfondire, cambi improvvisamente facendo scalare verso l’alto la sua posizione. Ne basterebbe una sola, cazzo … magari due, due piccoli saltini e il gioco è fatto, dai, giusto per essere sicuri.

Ma le nostre maglie sono vuote, non hanno ancora trovato chi le indossi, non hanno ancora capito chi mai quest’anno potrà offrire loro un senso di appartenenza, di orgoglio, di amore. E dubito che mai riusciranno a trovarlo, almeno quest’anno.

E allora restituitele queste maglie, riconsegnatele ai legittimi proprietari; ma non nelle mani di chi le ha offerte facendo firmare un contratto in quanto anche lui dovrebbe renderci la sua lavata e stirata.

Intanto “la caga”, intesa come sostantivo e non nell’ accezione di verbo, ben mascherata dalle mille sfaccettature della vita, continua ad accompagnarci dalla nascita:  il buio, per esempio; i bambini hanno sempre paura del buio, temono che coperti dall’oscurità, ben nascosti, ci siano i mostri, e a volte purtroppo i mostri ci sono davvero. Le caghe ci ricordano che dentro di noi esiste un luogo misterioso che non conosciamo, e che nonostante i nostri ragionamenti e la voglia di riuscire a controllare tutto, c’è qualcosa che ci spaventa e ci terrorizza. 

A volte è un pensiero passeggero accompagnato da una lieve contrazione del corpo, altre una nube insidiosa di grandine e fitta di immagini scure che ci impedisce di prendere sonno, anche se siamo ben consci che l’aspetto negativo non è determinato dalla caga stessa, ma dal fatto che lei ci indica la presenza di un problema.

E la nostra classifica cazzo se è un problema!!!

E allora nonostante tutto, nonostante lo scempio che si sta consumando tra l’incredulità generale, nonostante le forze e le speranze inizino a vacillare, bisogna reagire, cazzo!!! Mica vogliamo stare qui a convivere con la caga fino a quando la classifica ci condannerà definitivamente??

E allora urliamo quella frase che tutti conosciamo, sputiamola in faccia al destino, ai giocatori, alla società, a tutti quelli che non ci credono, a coloro che dopo le farse andate in scena al Piola contro la Ternana, il Venezia, e sabato il Pescara, hanno abdicato o intendono farlo nei prossimi giorni, a chi ritiene impossibile una salvezza figlia di questo schifo di gioco espresso da questa squadra che al massimo riesce a giocare un solo tempo, diciamo a coloro che rifiutano la lotta e con il loro atteggiamento non rispettano chi, in quel momento, ci sta provando davvero, di continuare a crederci fino in fondo, magari raschiando il fondo di che cosa cazzo volete voi, ma crediamoci ancora. 

Gridiamo e crediamoci convintamente che a non mollare un cazzo aiuterà a raggiungere un risultato positivo, come fece Franco Nero nella scena finale del film western “Vamos a matar companeros” quando con quella frase urlata al vento volle simboleggiare, inequivocabilmente, quanto l’unione potesse generare la forza.

Gridiamolo questo “NON SI MOLLA UN CAZZO”, anche se la ragione pretenderebbe un dignitoso silenzio, e che possa suonare come una tromba quando chiama la carica, ricordandoci umilmente di certi tristi momenti, quando la si urlava con in coda un numero infinito di punti esclamativi; ebbene, quei momenti sono tornati, minacciosi e inquietanti, e ci ricordano che siamo giunti a un punto in cui, per chi tiene a cuore le sorti del Novara, diventa obbligatorio urlare con i pugni serrati: NON SI MOLLA UN CAZZO!!!!

Il nostro dovere l’ avremo fatto. Noi si, lo avremo fatto fino in fondo.

Nonnopipo 

Novara perchè è la mia città, il Novara calcio perchè è la squadra della mia città, il dialetto perchè se il futuro è una porta il passato è la chiave per aprirla. Forsa Nuara tüta la vita.

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Il tempo è scaduto

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Adesso ci siamo davvero. Il Tribunale di Novara ha fissato per il 29 novembre l’inizio della vendita all’asta di “CIMELI, PREMI, PUBBLICAZIONI ED AFFINI, tra cui coppe, trofei, raccolte, vestiti mascotte e riconoscimenti vari come da perizia”. L’asta sarà aperta fino al 13 dicembre, poco prima del 115° anniversario della nascita del Novara Calcio 1908.

Sono ormai più di due anni che cerco di stimolare, tramite questo spazio di libertà, istituzioni e associazioni pubbliche e private, facendo nomi e cognomi di chi potrebbe fare qualcosa e sono, forse illudendomi, ancora convinto che qualcuno di questi, nel silenzio, stia organizzando qualcosa per aggiudicarsi  l’asta.

13.620 euro (10.000 + IVA + Oneri). Questa è la base d’asta e trattandosi di “aggiudicazione definitiva senza possibilità di rilancio” chi indicherà la cifra più alta vincerà l’asta. Il destino e la Magistratura hanno tolto dalla competizione il Presidente della Pro Novara ma ciò non toglie che collezionisti e speculatori potrebbero essere interessati ad aggiudicarsi il lotto.

Contrariamente al Tribunale di Verona per il Chievo, quello di Novara non ha messo all’asta il “titolo sportivo” e a questo punto, molto probabilmente non lo metterà più all’asta. Questo significa che la matricola storica rimane nella disponibilità della FIGC che potrebbe decidere di chiuderla definitivamente. Se così fosse si concluderebbe senza alcun dubbio la storia del Novara Calcio 1908 e le società che rappresenteranno il calcio cittadino, FC Novara in primis, continueranno la tradizione sportiva del Novara Calcio 1908 così come successo per la maggior parte delle società calcistiche fallite.

Romanticamente ho sempre sperato di recuperare la matricola 33790 per riannodare il filo della nostra storia ma me ne farò una ragione. Ora però riportiamo a casa ciò che nella Storia abbiamo conquistato.

 

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Fino a quando batte il cuore c’è ancora speranza!

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Escono da scuola, vocianti e allegri. Corrono dando sfogo a quella vitalità imbrigliata e poi sopita nelle regole da rispettare.
Gridano, saltano, si sfogano, appunto.
Una multietnia confusa ma interessante che mischia senza problemi i diversi colori della pelle su quelle faccine ancora libere da condizionamenti imposti dall’egoismo dei grandi.
Si liberano dagli indumenti imposti, mentre gli zaini, pesanti come quelli portati a schiena di mulo dagli alpini, giacciono offrendo una sensazione di abbandono anche se temporaneo.
Da sotto quei grembiuli spuntano maglie di calcio, alcune originali altre tarocche, altre ancora improvvisate, altre impossibili da sintonizzare sulle frequenze del calcio.
Basta un pallone, a patto che rotoli colpito da qualche calcione ben assestato, a patto che si rispettino le regole improvvisate anch’esse, a patto …
Strisciate le maglie, tutte, che senza il nero verticale sarebbero rosse, bianche e blu, si blu, perché l’azzurro che abita in questa città è ben diverso. Il nero che hanno in comune le identifica come ospiti, almeno per me.
Ma loro giocano ugualmente, indifferenti alle differenze, dribblano anche le panchine e le convenzioni intrise di razzismo, mentre allo scivolo ci passano sotto, poi un tiro finisce contro un cestino dei rifiuti il cui compito straordinario è quello di fare il palo a sua insaputa, l’altro non esiste, o meglio, esiste nel diritto di ogni bambino di immaginarlo piantato dove meglio crede.
Ed è incredibile come una porta senza traversa e senza un palo, riesca nell’impresa di fare accettare, a chi lo ha subíto, un gol non gol senza discussioni e soprattutto senza il quarto uomo e la VAR.
Magie dell’innocenza, miracoli prodotti dalla sola voglia di dare un calcio non tanto ad un pallone, che potrebbe colpire un cestino saltuariamente svuotato dall’immondizia, ma spingere quella sfera al di la della realtá di tutti i giorni, portandola a superare la linea della porta oltre la quale esistono i sogni che solo i bambini sanno fare ad occhi aperti.
Gioca!! Gabriele, gioca finché puoi sognare un calcio libero da condizionamenti, un calcio costruito solo per te su un terreno che sia pieno di ostacoli gioiosi come solo quelle giostrine impiantate su questo prato sanno esserlo, e fino a quando la tua maglietta azzurra, con quello scudo, bianca la croce in campo rosso, che posizionato sul cuore, registrerà sempre la tua fede come sa fare un holter cardiaco.
Il nostro scudetto sarà rispettato e considerato valoroso e nobile al pari di quello posto su quelle maglie strisciate e foreste che noi, come ti ho insegnato, non disprezziamo, in quanto vengono anch’esse sudate dalla gioia di chi le indossa.
Mezz’ ora dura lo svago, mezz’ora rubata ai compiti ma restituita alla fantasia e alla libertà, però ora ti devo chiamare, anche se so che farai finta di non sentire, lo facevo anch’io quando la nonna Rina urlava dal fondo del campetto dell’oratorio di Veveri chiamandomi … non sentivo, proprio come stai facendo tu, non sono mica nonno per caso eh, li conosco tutti questi trucchetti, sono stati il mio salvagente, il mio diritto a richiedere che mi venisse accordato l’orario lungo per giocare a calcio fino a quando l’oscuritá imponeva la ritirata.
Quarantacinque minuti ormai, il tempo che misura la metà di una partita, la sera cala lentamente su quei calci offerti a una sfera che rotola, di qua e di la senza avere apparentemente una destinazione precisa e forse avendo i minuti contati.
Andiamo, le maglie sono sparite ognuna verso destini giá scritti ma ancora da interpretare, ognuna sulle ali della speranza piú che sulle giovani spalle di ragazzini appartenenti alle piú varie etnie.
Sali, Gabry, sali in macchina e occhio alla cartella, (io la chiamo ancora così) come è andata oggi a scuola? Cosa hai mangiato a pranzo? Le solite domande, quelle che ti pongo tutti i giorni … no, oggi no, oggi non ti chiedo nulla, oggi indossi quella maglia che è un lasciapassare per i sentimenti piú belli, proprio in questa settimana che porterá a quella che è celebrata non come una semplice partita, ma “LA PARTITA!!!”
E tu mi chiedi di ascoltare quel CD che spesso ti nego all’ascolto tutto preso come sono a guidare nel traffico o a pensare ai cavoli miei che talvolta sono di una grandezza esagerata, questi cavoli!!
Oggi no, oggi ti voglio più bene del solito, ti amo più del solito, oggi non so perché ma è cosi.
E allora te lo metto il tuo CD, te le metto le tue due canzoni preferite, io le ho già sentite tante volte al punto che quando si arrivava a casa le suonavo entrambe con la chitarra mentre tu ascoltavi incuriosito quanto la mia interpretazione fosse curiosamente distante dall’originale.
Vabbè dai!! ascoltale pure e alza il volume, anzi sparalo a mille, anche se magari qualcuno ci manderà affanc…ops, scusa, non si dicono parolacce in presenza di bambini … ci manderà a quel paese!!
Parte la batteria cadenzata al ritmo di marcetta, la nostra marcetta, Gabry, quella che mi chiedi di ascoltare tutti i giorni all’uscita da scuola e io ti accontento quando non sono inverso.
Canti sottovoce accompagnando quell’incedere musicale, che si confonde con i battiti disordinati del mio cuore, aiutandoti con le dita della mano sinistra, intanto che il ritmo della musica compie il suo percorso naturale verso quei sentimenti più spontanei e liberi che ci hanno consentito di amare quell’azzurro colore.
Un minuto e trentotto secondi dura questa melodia, ma tu prima che finiscano le note mi chiedi con garbo misto a preoccupazione : “Nonno, perché stai piangendo??”
Nonnopipo

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Schiavi di una fede

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Siamo schiavi di una fede.

E la cosa buffa (ma neanche tanto!!) è che non ci dispiace affatto.

Che strano peró, dover riconoscere che il grafico del nostro umore risulta legato all’andamento di una squadra!!!

Ed è a questo punto che la matassa si sbroglia fornendo una veritá indiscutibile: non si tratta solo di una squadra.

Sarebbe intollerabilmente riduttivo e semplicistico se cosí fosse, e tutto venisse attribuito esclusivamente a un discorso legato al tifo.

Perchè il tifo e, conseguentemente il suo interprete principale che è il tifoso, è composto da quegli ingredienti naturali che si chiamano passione e amore.

E la passione e l’amore sono immortali, infiniti, insensibili al dubbio e all’incertezza.

Li trovi negli occhi di chi esulta e nelle lacrime di una delusione, nel pallone che gonfia la rete o nel palo che soffoca in gola l’urlo liberatore.

Perchè, come disse lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, “ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, lì ricomincia la storia del calcio”

 

Forsa Nuara tüta la vita

 

Nonnopipo

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