Analisi Tecnica
Il ciocco di legno (analisi tecnica di Foggia Novara)
Published
6 anni faon
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Ciumi
Mi ero preparato nel primo pomeriggio a scrivere, comunque, un altro tipo di intervento …. quell’insano amore che mi porto dietro per la maglia azzurra da cinquant’anni mi aveva portato a credere, con quell’assurdo ottimismo che accompagna tutti gli innamorati, che anche se avessimo perso avrei visto in campo una squadra diversa dalla partita con l’Avellino … una squadra compatta, quadrata, coesa.
Inoltre, per la prima volta, potevo vederla in tv, con tutte le mie comodità e, soprattutto, con delle riprese dall’alto che mi avrebbe fatto capire quanto mi ero sbagliato sabato scorso a dare dei giudizi senza la giusta prospettiva, con la visuale appiattita dal rettilineo.
“Vedrò sicuramente una macchia azzurra compatta muoversi per tutto il campo “ mi ero detto “ che anche se perdiamo siamo sulla buona strada”….
Una bella minchia!! …. prima dell’inizio il “genio incompreso “ mi aveva fatto incazzare per il mancato schieramento di Dickmann e Mantovani (che già li le madonne erano partite)….
Poi … poi… un’altra beata minchia !!! Il nulla assoluto avevo visto sabato scorso con la prospettiva schiacciata … il nulla assoluto (ma molto più nulla) ho visto oggi con le ottime riprese di Sky dall’alto … con l’aggravante che ste cazzo di riprese mi han fatto vedere quanto giochiamo male e quanto siamo slegati, in ogni reparto.
“… quel margine di sogno”
Già questa estate, massacrato dalle zanzare, avevo spiegato a Corini che il margine di sogno si coltiva, e germoglia ( perché se coltivi senza fare germogliare un cazzo non serve a niente), con gioco e risultati ….
Forse non mi ero spiegato bene… glielo spiego meglio:
Il margine di sogno si coltiva con reparti che si aiutano tra loro e che si muovono con coesione.
Il margine di sogno si coltiva adattando l’impostazione tattica agli avversari.
Il margine di sogno si coltiva utilizzando i tuoi uomini per quello che possono dare senza costringerli a fare brutte figure.
Il margine di sogno si coltiva … altrimenti non germoglia.
“La tattica del lancio a vanvera”
Noi invece, al di là delle disquisizioni sui moduli, giochiamo il classico calcio a vanvera.
Dall’alto vedi tre linee completamente staccate fra di loro; tre righe tracciate dentro al campo che si muovono sincrone …. il modo migliore per farsi infilare … come peraltro puntualmente succede.
Andiamo a fare pressione sul portiere alternando in uscita Sciaudone o Moscati ma dimenticandoci bellamente che dietro di loro RPDS ( la nostra nuova ceppa di minchia ) ha la velocità di un bradipo e l’aggressività di un cavalier king…. così tre passaggi e per l’avversario si spalanca il mondo.
Sappiamo di avere contro una squadra che fa della velocità di movimento degli esterni offensivi la sua principale caratteristica e mettiamo in mezzo alla difesa il palo della luce che, ma non è mica colpa sua, ha i piedi del Vannu quando giocava a calcio e la stessa velocità di RPDS.
Ci ostiniamo a giocare un misto di 451 0 433 con due uomini sulle fasce che c’entrano con le fasce come le zucchine con la carbonara … così sfianchiamo Maniero, restiamo scoperti, ed esponiamo Macheda e Di Mariano all’ennesima brutta figura.
Ma il massimo lo raggiungiamo quando riconquistiamo palla con l’unico modulo che dobbiamo aver provato e testato con cura in allenamento: il lancio a vanvera
Appena riprendiamo la palla, se riusciamo a non darla a RPDS ( che li la perdiamo subito per cui il problema non si pone ), ecco che uno a cazzo dei quattro di difesa ( spesso il palo della luce ) la lancia a vanvera per nessuno….
Oggi avremmo anche potuto vincere, così come avremmo potuto perdere…. non sarebbe cambiato un cazzo.
Da tre settimane ci ripetiamo, un po’ tutti per rincuorarci, che con Casarini, Dickmann, Mantovani e Maniero avremmo visto una squadra completamente diversa…. ce lo auguriamo ancora … ma un brivido sulla schiena mi sta correndo mentre l’ho scritto… perché ho paura che non sarà così.
La mia sensazione è che in quattro mesi di allenamento non sia stato assimilato il benché minimo schema …. e a questo punto o abbiamo 20 giocatori ignoranti o abbiamo un maestro che non sa le tabelline … e se le sa non le sa insegnare.
…..Un ciocco di legno, avvitato ed intestardito su se stesso, incapace per il momento di trovare, o cercare di trovare, una quadra che ci consenta di evitare, in futuro, figure di merda come quelle fatte nelle ultime giornate.
RIMANDATO … speriamo non al mittente
Ciumi
Analista tecnico delle partite e sfanculatore ufficiale del blog. Convive con una sana passione per le Converse All Star sgualcite e scolorite e per la scarsa considerazione sul genere umano. Severo ma giusto.

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Questa è veramente una delle stagioni più indecifrabili della nostra storia. Siamo qui, col paradosso di essere ultimi in classifica, e con una squadra che sta messa peggio addirittura di quella del disgraziatissimo 2000-2001 che a questo punto della stagione aveva quanto meno messo dietro il Sandonà e se non sbaglio anche il Moncalieri. Eppure, tutti quanti con il cuore colmo di gioia per il quarto risultato utile consecutivo, di cui tre pareggi che in altre epoche avremmo accolto col classico atteggiamento sprezzante di Briatore quando vede un povero, e con 4 dei 6 punti di questo mini-filotto conquistati in pieno recupero. Perché questa squadra, povera, disastrata, emotivamente instabile come una cinquantenne neo-divorziata col tatuaggio dell’araba fenice e la scritta ‘resilienza’, sta coinvolgendo molto di più e sta suscitando molta più empatia nel pubblico di tanti altri Novara più ricchi e sboroni, questo è un dato di fatto. Sarà che siamo rimasti in pochi, sarà la sindrome da ‘soli contro tutti’ di questi ragazzi legata anche al totale delirio che regna intorno alla questione societaria, sarà la paura concreta che questo possa essere l’ultimo Novara della nostra storia (almeno a livelli accettabili per la nostra tradizione) a causa proprio della sopra citata nebbia sul piano societario, ma ci stiamo davvero tutti stringendo ancora più forte intorno a questo gruppo.
Un gruppo che è nato sicuramente male, i cui cardini da cui partire per costruire intorno la truppa di giovani di belle speranze non è stato senza dubbio scelto convintamente al 100% (con l’eccezione forse di Ranieri) ma più imposto dalla necessità di affidare le chiavi a gente che, non è un mistero, fino a una settimana dall’inizio del campionato si stava ancora cercando disperatamente di piazzare per abbassare il monte ingaggi. Piano piano, però, anche la leadership molto nascosta di questi elementi sta venendo fuori, amalgamata dalle mani di Gattuso certamente più sapienti e pragmatiche del buon Buba. Col Vicenza abbiamo visto l’ennesimo Novara camaleontico, che è partito a tre dietro, per poi, una volta compreso che di Talarico, Della Morte e Jimenez ne vedevamo sei, passare a quattro dietro, grazie al solito Calcagni-pelle-del-cazzo (omaggio a Sergio Borgo e al suo insuperabile talento nelle metafore, in questo caso a sottolineare la duttilità del mitico Coletto), con anche un nostalgico Donadio addirittura a uomo a seguire Greco in fase difensiva. Al terzo gol mangiato da loro era chiaro che i tempi per il piatto storicamente più gradito dalla banda di Rosso, ossia l’inculata a tradimento, erano maturi. E infatti, grazie anche alla grande sapienza tattica di Laezza che ha pensato di simulare un infarto del miocardio in situazione di contropiede, siamo passati noi. Da quel momento, ovviamente, la nostra partita è sostanzialmente finita, ed è iniziato il prevedibile monologo di un Vicenza che ha dimostrato il vecchio difetto di fabbrica visto anche l’anno scorso, ossia di avere una rosa insensata da centrocampo in su (tenendo in panchina uno come Rolfini che io tecnicamente adoro), ma con il buon Matteassi che sembra divertirsi nell’impostare organici che la fase difensiva la curano con la stessa dedizione che ho io per i miei addominali. Però, quando hai uno in area come Ferrari o ti entra uno come Costa che l’anno scorso faceva la riserva a Parma, è ovvio che qualcosa può succedere.
Ed è ancora più facile che succeda se di fronte hai probabilmente l’unica squadra della C costruita col chiaro intento di salvarsi ma che, tolto l’indisponibile Rossetti, che peraltro non sempre ha dimostrato di riuscire a fare quel mestiere, non ha in rosa una vera prima punta sporca da buttare nella mischia a tenere il risultato negli ultimi 20 minuti e fare a sportellate, tenendo su palloni sporchi per portare a casa il risultato. Per fare un paragone con le nostre concorrenti attuali, l’Alessandria ha Siafa e Volpe, il Fiorenzuola ha Seck e Alberti, la Pro Sesto ha Petrelli e Moreo. È un altro dei paradossi di questa squadra: la cosa che tutti quelli che devono salvarsi hanno (i centimetri), noi non l’abbiamo, e per questo anche quando dovremmo fare le barricate siamo costretti a giocare a calcio sempre e comunque, alzando così esponenzialmente il rischio di fare la cagata come l’ha fatta Urso su quella palla non spazzata al 94’ da cui poi è nato il gol del 2-1. Ma alzando anche esponenzialmente il ‘rischio’ che dopo quel 2-1, quando nessuno ma proprio nessuno di credeva più, lo stesso Urso si inventi un lancio in profondità per Di Munno, che dopo una partita pazzesca per intensità, qualità, sacrificio ha ancora la forza per mettere una palla ad attraversare il campo. Che Calcagni dopo aver corso l’equivalente di una mezza maratona invece di spararla in curva come succede 9 volte su 10 in quella situazione la tenga bassa. Che la terna, dopo averci fischiato qualsiasi cosa mezza e mezza contro nel secondo tempo si metta una mano sulla coscienza e non veda un probabile fuorigioco di Bagatti prima del tocco decisivo di Scappini. Che questo Novara, tra un paradosso e l’altro, ci faccia esplodere ancora una volta il cuore. E, per adesso, per chi come noi può solo ragionare secondo la categoria del ‘qui e ora’, va benissimo così.
Jacopo

Questa è una squadra che arriva con in media un mese di ritardo a fare le cose che le altre squadre che hanno il nostro stesso obiettivo hanno già fatto da un mese. È successo per la prima vittoria in campionato, arrivata settimana scorsa quando l’Alessandria l’aveva già centrata il 24 ottobre. Ed è successo anche per il primo pari sporco in trasferta, arrivato non al termine delle solite montagne russe emozionali tipo quelle di Meda, con uno-due devastanti recuperati poi di puro ‘nervo’ in extremis, ma finalmente con un sano primo tempo di contenimento puro, senza rischiare assolutamente nulla. E d’altra parte non abbiamo fatto altro che adeguarci all’andazzo di un Lumezzane che da subito è sembrato badare molto più alla continuità di risultato e all’imbattibilità difensiva dopo due vittorie e tre clean sheet in tre partite piuttosto che al bottino pieno. Anche il solito gol stronzo che tanto per cambiare ci ha messo nelle condizioni di dover inseguire è arrivato in modo totalmente diverso da come lo abbiamo sempre preso in questa stagione, perché si è trattato davvero del classico tiro della domenica su cui c’era pochissimo da fare. Dopo lo svantaggio abbiamo chiuso gli avversari in area, e, se da una parte abbiamo palesato ancora una volta la stessa cattiveria sotto porta del famoso celerino del Menti reso famoso dalla Gialappas per il manganello appoggiato sulle chiappe dell’invasore di campo, abbiamo dimostrato anche di avere un cuore non comune.
Chi al solito è rimasto più centrato di tutti ancora una volta è stato Gattuso. Mentre io personalmente sognavo già una squadra sfrontata alla ricerca di un inizio di filotto che ci avrebbe permesso di affrontare la prossima in casa col Vicenza con la testa serena, contro una corazzata messa in campo per aggredirci, e quindi col più classico dei canovacci in cui non hai nulla da perdere (e loro tutto da prendere tra le chiappe), Jack probabilmente ha pensato alle sue di chiappe. E giustamente, perché la tentazione di scoprirsi sull’onda dell’entusiasmo della prima vittoria e di lasciare campo a un’avversaria che come sottolineato nelle dichiarazioni prepartita, aveva nell’attacco il suo reparto più completo, era forte ma terribilmente rischiosa. Non potevamo permetterci di vanificare quel piccolo patrimonio di fiducia acquisito dopo le ultime due partite, e quindi Jack ha pensato di tornare alle origini, con una difesa a tre stavolta ridisegnata con due centrali di ruolo, partendo più solidi e guardinghi ma permettendoci all’occorrenza, grazie alla nota duttilità di Calcagni, di passare al 4-3-3. Mossa che poi si è rivelata essenziale per evitare di bruciarci uno slot per cambiare schieramento quando c’è stato bisogno di recuperare, e giocandoci tutto col passaggio al 4-2-4 a 10 dalla fine, per finire con l’ultimo cambio della disperazione con dentro tutti quelli forti di testa per trovare il pari di ignoranza che poi per fortuna è arrivato.
Questa è una squadra che ha sicuramente tanti, tantissimi difetti, a partire dal fatto che ad oggi probabilmente non segnerebbe un gol su azione neanche con le porte e con le regole del calcio gaelico. Ma questa è la terza volta che raddrizziamo di riffa o di raffa il risultato tra il 90esimo e i minuti di recupero, e non succede spesso che in una partita su cinque una squadra porti a casa punti in zona Cesarini. Probabilmente vuol dire che facciamo fatica a morire, anche se ieri i numerosissimi ultras del Lume hanno cercato di farci vivere coi loro cori scanditi da cantilene megafonate l’allegra atmosfera che si crea durante i canti funebri all’uscita del feretro. Mezzi morti sì, ma ancora con qualche possibilità di resurrezione.
Jacopo
Analisi Tecnica
Dopo Legnano c’è sempre Moncalieri
Published
2 settimane faon
20 Novembre 2023By
Jacopo
Non ho scritto nulla dopo il derby, un po’ perché non volevo ripetere la solita tiritera della squadra fragile mentalmente che quando sembra ritrovarsi trova sempre il modo di farsi inculare in un lasso di tempo che va a piacere dal breve al brevissimo (e coi cugini è successo ben due volte), un po’ perché anche leggendola in chiave ottimistica avevo la grossa paura di trovarmi davanti a un’altra prestazione tipo quella di Renate, dove ci eravamo tutti ringalluzziti sperando che fosse una mezza svolta e invece poi avevamo subito beccato un’altra imbarcata con l’Albinoleffe. Un dato però poteva far pensare che qualcosa stesse cambiando, ossia che Vercelli era stata l’unica situazione in cui, una volta preso un gol, non ne avevamo preso subito un altro in sequenza, anche qui in un lasso di tempo che andasse dal breve (Trento e Pontedera in coppa) al brevissimo (Pro Patria, Padova, Mantova, Atalanta Under23, Renate, Albinoleffe, Fiorenzuola in coppa).
Da almeno un mese ormai mi affanno a dire che questa squadra per valori assoluti non è messa peggio di un numero di avversarie che mettendocele dietro basterebbe ampiamente per salvarsi, ma che il loop psicologico in cui ci eravamo infilati ci abbia impedito per troppo tempo di avere quella tranquillità che ti serve per portare a casa le partite. Tutte condizioni che si stavano puntualmente verificando anche ieri fino a fine primo tempo, quando sembrava servito per l’ennesima volta il copione domenicale da ulcere gastriche e bestemmie assortite. Con tutte le solite pecche di attenzione difensiva, che una volta sono i cross da destra sull’uomo a rimorchio, una volta gli inserimenti degli esterni, stavolta è stato un ex con la maglia numero 10 a cui per un tempo abbiamo deciso di dare licenza di mettersi la palla sul destro e fare la ‘tiro a giro sul secondo palo challenge’
In tutte queste settimane chi non si è mai scomposto è stato Jack Gattuso, anche a fronte di alcune critiche che il buon Eziolino Capuano definirebbe ‘incenerose e frutto di manchevolezza di idee’ e che non ha mancato di sottolineare nel post-partita. Forse non si è scomposto perché sapeva cosa volesse dire trovarsi in una situazione come quella di ieri, e si ricordava che 23 anni prima, con una bara in curva, un numero di punti all’attivo simile e un morale comparabile, c’era stata una partita col Legnano che aveva dato la prima spinta verso quella salvezza pazzesca. Jack in questo mese di incarico ha lavorato per tentativi, trovando pian piano la sua quadra che adesso appare chiara, riuscendo a coinvolgere nei suoi tentativi sempre tutta la rosa, perché anche quando è passato a tre dietro si è inventato i terzini braccetti e i Donadio interni per tenere tutti sul pezzo. Ha recuperato alla causa uno come Corti a cui io non avrei dato due lire e che, se effettivamente la porta la vede come Aleandro Baldi (ma il suo track record non è che lo nascondesse), in una partita e mezza però ha tenuto su il reparto da solo più di quanto non abbiano fatto Rossetti e Scappini assieme nelle precedenti 12 partite, che peraltro la porta hanno dimostrato pure loro di vederla forse non come Aleandro Baldi, ma sicuramente non più di Francesca Alotta (ragazzi, si fa per spronarvi, potete venire a mandarmi affanculo dopo il gol alla prossima in casa, mi trovate dietro la panchina ospiti). Ieri poi nel secondo tempo si sono viste cose inedite a livello di personalità e iniziativa, soprattutto subito dopo il nostro pari di D’Orazio, quando ogni volta che ripartiva l’azione dal portiere facevamo girare palla con grande velocità e trovavamo in un attimo gli uno contro uno sugli esterni e la superiorità in mezzo al campo.
Certo, c’è ancora tanto, tantissimo da fare. Non è accettabile, ad esempio, difendere su un corner a nostro favore in quel modo e prendere un contropiede come quello che poteva costarci lo 0-1 anticipato. E molto probabilmente se invece di una Pergolettese che da subito aveva fatto intendere di farsi andar bene un pari, ci fossimo trovati di fronte una squadra con più fame, avremmo preso lo 0-2 ben prima e tanti saluti a tutti. Ma, anche da questo punto di vista, non è che possiamo sempre essere come quelli che se gli cade il pisello gli rimbalza in quel posto.
Ora inizia il nostro campionato, quello vero. I tifosi milanisti hanno coniato la massima ‘dopo Istanbul c’è sempre Atene’, prendendo lo spunto dalla doppia finale col Liverpool, prima persa nel modo più atroce e due anni dopo vinta. Una metafora che sottintende l’auspicio che dopo una sconfitta o una delusione si possa sempre avere una nuova opportunità di riscatto o di vittoria. Ecco, siccome la nostra Atene in piccolo l’abbiamo avuta, adesso sarebbe fondamentale trasformare quella massima in ‘dopo Legnano c’è sempre Moncalieri’. Jack spiegaglielo tu sul pullman per Lumezzane cosa vuol dire ai ragazzi, noi lo sappiamo bene.
Jacopo
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