Ieri sera ho guardato i minuti finali della sfida tra Benevento e Carpi con quella giusta secchezza delle fauci che mi accompagna quando un pochettino rosico. Avrei voluto essere al loro posto, non tanto per il fatto della serie A, il cui fascino ai miei occhi è meramente filosofico e non empatico, ma per poter rivivere le emozioni di quegli ultimi 4 minuti di recupero che giochi sapendo già di aver vinto. Pensavo che, avendo la certezza della promozione, non avrei dubbi nello scegliere una vittoria ai playoff rispetto ad una trionfale cavalcata in solitaria rulla tutti, perché le sensazioni che si provano (e che fortunatamente abbiamo avuto l’onore di vivere) sono talmente forti che non c’è proprio paragone. In una fase in cui il carrozzone del calcio è alla ricerca di qualche novità che aumenti l’interesse globale, credo che ormai sia pronto per affrontare il tema degli spareggi anche per assegnare lo scudetto. In fin dei conti, se in tutti gli sport di squadra praticati nel mondo, ad eccezione del giuoco del calcio, si assegna il titolo in palio alla fine dei playoff, e se questa formula funziona, un motivo ci sarà.
Pensavo più o meno lo stesso domenica sera quando vedevo i rigori di Alessandria Lecce, e riflettevo sul fatto che, al netto della follia del numero di squadre partecipanti al mini torneo di Lega Pro e all’assenza della benché minima tutela per le squadre piazzatesi al secondo posto del proprio girone magari lasciando a distanze siderali la terza, la formula ad incrocio con scontri diretti tra squadre di gironi differenti e le finali secche in campo neutro regalano oggettivamente spunti di interesse incredibili, anche in chi la vecchia serie C durante l’anno non l’ha considerata minimamente. Semmai, osare per osare, studierei una formula le cui vere finali dei playoff prevedano uno scontro tra squadre di categorie differenti. Mi spiego. Dalla A alla B ne retrocedono 3, la prima potrebbe essere individuata nell’ultima in classifica, la seconda nella perdente della finale di un mini playout tra squadre di serie A la cui vincente della stessa finalina sfiderebbe poi la vincente del playoff di serie B. Chi vince va (o resta) in A, chi perde scende (o resta) in B. E così per decidere almeno una promozione dalla Lega Pro alla B.
Si tratta solamente di fare un esercizio di apertura mentale e uscire dallo schema rigido imposto da anni di un calcio che non esiste più, e accettare che un campionato di calcio si possa anche perdere nonostante si sia dominata la regular season. Mi rendo conto che potrebbe risultare iniquo ed ingiusto, ma credo allora che o si eliminano totalmente questi playoff (se la mettiamo sull’ingiustizia è moralmente ingiusto che l’Alessandria possa non salire in B dopo il campionato che ha fatto, non trovate?) oppure si faccia il passo definitivo e si accetti che una Juve del caso, dopo aver bastonato tutti, possa perdere in finale da una arrivata quarta. L’importante è trovare una formula che riconosca qualche vantaggio almeno iniziale a chi si è classificato nei posti più alti e poi che vinca il migliore.
Abbiamo accettato tutti il passaggio dai 2 ai 3 punti in caso di vittoria, abbiamo superato lo shock dell’assegnazione di un titolo attraverso il golden goal, abbiamo sposato la filosofia di avere la maggior parte di giuocatori stranieri in rosa e diciamo no alla grande bellezza dei playoff in serie A? Ma non sarà mica che quelli che ci buttano centinaia di milioni di euro hanno paura di perdere da quelli più poveretti e fare la figura dei pirla e che quindi va bene così? Chissà.
Claudio Vannucci
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