Il calcio possiede attributi talmente grossi al punto che, autonomamente, è in grado di generare ricordi che viaggiano nel tempo.
C’è tendenza ad affermare che il calcio di una volta era più bello; certo, anche i più giovani ora sanno che il football di allora era tutta un’altra cosa. Non certo perché rispetto ad adesso c’erano gesti atletici più eclatanti, mirabolanti fantasie, ma semplicemente perché il calcio di oggi viene ucciso appena nato. Un gesto di Messi è lodato, se va bene, solo per un paio di giorni, dopo basta, esso finisce nel dimenticatoio, senza riflessioni, senza racconto, senza poesia, senza ricordo.
Mi sono chiesto piú volte: “ci sarà pure un motivo per cui è meglio vedere le immagini sgranate e quasi al rallentatore di Italia-Germania 1970, piuttosto che la finale mondiale Olanda-Spagna in alta definizione e in 3D ?” Il motivo è semplicissimo e facile da spiegare attraverso la velocità con cui il nostro tempo inghiotte e digerisce ogni cosa, restituendola spolpata dei contenuti più “emotivi”, quelli che stanno più vicini al cuore.
Oggi si pretendono emozioni forti, possibilmente in rapida successione. Questa è la differenza rispetto alle slow motion a cui eravamo abituati.
La sete del tifoso diventa arsura se non interviene il ricordo a tentare di placarla.
E allora esistono dipinti che la mente umana attacca sui muri di una personalissima galleria espositiva. Quindi ecco le gocce di sudore che bagnano le rughe e le guance sul volto magro e scavato di “Gigirriva” , trasformarsi in una sfera di cuoio e sfondare l’ennesima rete e portare in trionfo la Sardegna. Ora chiudo gli occhi e vedo la maglia numero 14 di un olandese guidare l’Arancia Meccanica alla conquista di un gioco reso spettacolare dall’incastro di undici fenomeni che vestivano contemporaneamente la maglia dell’Ajax, vedo accasciarsi,in un angosciante episodio di morte, in un triste pomeriggio di ottobre, il povero Renato Curi, vedo il Rivera, che tra lo stupore generale, entra negli ultimi sei minuti della finale dell’Azteca 1970.
Poi, quasi in una trasfigurazione scenica, subentrano imperiosi i ricordi di casa, quelli che si trovano a chilometro zero, quindi autoctoni, per cui vedo gli occhi spiritati di Jimmy Fontana, la scia luminosa lasciata nel cielo del Piola da quel tracciante partito dal piede di Rigoni, l’improvvida, per i padovani ma salvifica per noi, sostituzione di El Shaarawy, i due petali “cremonesi” di Ventola che profumavano di serie B, la testa pelata del Nini, le bombe di Enzo, le partenze fulminee della freccia di Caltignaga che si trasformano nelle serpentine di Scienza, i “ragionamenti” a centrocampo di Carrera, i muscoli di Piccinetti,le danze di Giannini, il cuore di Pinamonte e i baffoni neri stampati sul volto dell’ uomo di Castrovillari,…….e le affettuose carezze che il Celestino di Cameri, sorridendo, lasciava su quei capelli tagliati a zero di un bambino che vedeva il calcio, allora, come ostinatamente lo vede adesso, solo con qualche ruga in più per entrambi.
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